Vedere, non far vedere: due mostre imperdibili a Roma



Stamattina (se mezzogiorno meno venti è un orario degno di essere definito "mattina") mi sono svegliata piuttosto stanca, causa "lavoro di pizzeria molesto fino all'una di notte", e ho visto dipanarsi di fronte a me due possibilità: A) preparare un post sulla friabilità di una buona Margherita; B) parlare di fotografia senza sapere un cazzo della suddetta. Ignorando sfrontatamente il fatto che oggi non avrei neanche la creatività necessaria a scrivere il famigerato tema "Descrivi cosa hai fatto domenica con mamma e papà" che sovente ci propinavano alle elementari (in passato ho più volte meditato di abbandonare la scuola dell'obbligo e di darmi alla pastorizia sulla Sila a causa di compiti del genere), ho scelto la seconda opzione, dando così prova di quella vocazione all'autodistruzione che da sempre mi contraddistingue, e che, ad esempio, mi spinge a scegliere esami che prevedono lo studio 

approfondito di diciassettemila pagine in luogo dell'esame-scampagnata dell'anno che tutti gli altri studenti consigliano e preparano in un giorno e mezzo. Continuare a spiegare perché non sono una buona prova a favore della selezione naturale è ininfluente in questa sede; verrò subito al dunque: volevo esprimere un paio di impressioni riguardo le mostre di Henri Cartier-Bresson e di Steve McCurry a Roma. Innanzi tutto, se ancora non ci avete dato un'occhiata, sbrigatevi (McCurry chiude i battenti il 30 aprile, Cartier-Bresson, invece, verrà sbolognato con più calma il 6 maggio). In secondo luogo, infischiatevene allegramente del criterio cronologico in favore di un più pratico vantaggio economico: dopo aver visitato la mostra di McCurry, automaticamente, otterrete una riduzione per il buon Henri (in ogni caso, riduzioni per McCurry si trovano con facilità sui biglietti della MetRo). Ora, se siete esperti di fotografia, aiutatemi a mantenere una parvenza di decenza e fatemi la grazia di interrompere al più presto la lettura di questo post, altrimenti proverò a spiegarvi, in maniera ruspante e (spero) rampante, come McCurry sia molto di più della bambina afgana del National Geographic, e Cartier Bresson non sia solo un sardo alto un metro e venti insieme a un baldo soldato americano durante la Liberazione. Comincerò dunque con qualche idea sull'esposizione di McCurry al MACRO Testaccio. Piccolo riassunto per i profani, quale io sono: il fotografo sulla cresta dell'onda negli ultimi decenni nasce in Pennsylvania nel 1950, e, successivamente, dedica la sua esistenza a battere le strade di mezzo mondo (Pakistan, Afghanistan, Iraq, Cambogia, India, Filippine, Kuwait e chi più ne ha più ne metta) alla ricerca di foto per i suoi reportage sulle "zone calde" del globo. I criteri di allestimento della mostra sono molto d'aiuto a chi sa poco o nulla al riguardo: le foto sono ordinate secondo nuclei tematici facilmente inquadrabili, e disposte in modo da evidenziare in maniera inequivocabile punti di assonanza e di contrasto tra i vari pezzi e da suscitare automaticamente, a partire da questo confronto, emozioni e riflessioni. L'opera di McCurry, d'altronde, ha bisogno di ben poche parole e spiegazioni:che ci si trovi davanti bambini a stretto contatto con le armi, inquietanti improbabili statue romane, monaci Shaolin in meditazione, scene di vita indiana ai limiti del surreale, foto che sfidano ogni legge della fisica, o un emblematico De Niro, è matematicamente impossibile restare impassibili, e, inaspettatamente, scappa il brivido: quel brivido che odiamo perchè ci ricorda come, di tanto in tanto, le nostre reazioni sfuggano al rigido contegno di autocontrollo che ci imponiamo, e, allo stesso tempo, amiamo per come ci rende improvvisamente coscienti del fatto che siamo qui e ora, e siamo vivi. E non voglio far capo a nessuna retorica da quattro soldi: le sensazioni suscitate da queste immagini sono così nette, grezze, potenti da attirare quasi qualche sospetto di paraculismo su McCurry. Viene anche qualche dubbio su come faccia quest'uomo a essere sempre nel posto giusto al momento giusto, ma penso che sia uno dei risultati che derivino dal rischiare continuamente la propria vita pur di realizzare vividi reportages, insieme alla straordinaria capacità di mostrare il volto umano della guerra, della natura e della meraviglia. Insomma, è bene che vi affrettiate a muovere le vostre sfavillanti natiche se non volete perdere un'occasione di questo tipo. Passiamo ora a 

Cartier-Bresson e alla mostra a lui dedicata a Palazzo Incontro, con tanto di riassuntino ignorante e arbitrario anche in questo caso: Henri, francese papà del fotogiornalismo, nasce all'inizio del secolo scorso e si appassiona inizialmente alla pittura, poi però compra una Leica  e comincia a girare il globo tutto e a fotografare momenti salienti ponendo "sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore"; diventa il top e fonda l'agenzia Magnum, della quale tra parentesi diventerà socio (indovinate un po'?) il nostro buon Steve. Ah, nel frattempo, ovviamente, viene deportato in un campo di concentramento, dal quale riesce a scappare, e, dopo aver partecipato alla Resistenza in Francia, deve perder tempo a spiegare ai capoccia del MOMA di New York che non è morto in guerra, e che, volendo, si può evitare di organizzare una mostra commemorativa in suo onore, e allestire una bella mostra-e-basta. Robe di tutti i giorni, insomma. E anche le sue opere non sono da meno: nelle sue foto, eccellenti e rigorosamente b&w, Cartier-Bresson, voyeur d'eccezione, si diletta nel rubare gli attimi di pensiero assorto e profondo dei suoi 

soggetti. Io mi sono soffermata in maniera a dir poco scandalosa sulla foto a destra: tuttavia, non voglio rovinarvi il piacere della scoperta, e vi invito a scoprirne l'origine e il potere sconvolgente leggendo il commento che trovate esposto a fianco all'opera. La chicca della mostra, infatti, è che ogni fotografia è accompagnata dal commento di una personalità illustre, che sia Sciascia o Kundera. Insomma, perdersi questi due maestri del carpe diem fotografico sarebbe un peccato, proprio come indugiare nel pubblicare questo frettoloso post (lo rigiro come un calzino e lo seziono ma continuo ad avere comunque l'impressione di aver tralasciato qualcosa, dunque tagliamo la testa al toro).

Saluti infrettaefuria e un augurio di una Buona Primavera Culturale a Roma (stavolta ce n'è davvero per tutti i gusti!),

Cleo

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1 commenti:

Cleo ha detto...

chiedo scusa per la pessima disposizione delle immagini, ma la mia sezione Blogger ha evidenti problemi -.-"

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